Vino Malvasía … corsi e ricorsi tra estinzione e rinascita
Il vino oggi non è più come una volta. La diffusione di tecniche vinicole ha spezzato il monopolio delle tradizionali regioni produttrici di vino. In un mondo dove tutto è possibile, una delle sfide più interessanti oggi è quella di recuperare aromi e sapori di alcuni vini storici. Questo è il caso dei vini dolci di Malvasía che si producono nelle Isole Canarie, che hanno rischiato di estinguersi, e che oggi rinascono con forza.
Ad onor di cronaca, non si può non riconoscere che i canari non sono stati gli unici a beneficiare delle virtù del vecchio Vino Malvasía, una delle varietà più antiche che si conoscano. Nato in un angolo remoto dell’Asia Minore, deve il suo nome al porto Monemvasía, nel sud del Peloponneso. La sua coltivazione si diffuse particolarmente nell’isola di Creta, molto prima che i commercianti veneziani, nel XIII. secolo, promuovessero la moda dei “vini greci”, dolci e aromatici. Grazie a questa popolarità, questa vite venne esportata in tutto il Mediterraneo, fino a raggiungere Madeira e le Isole Canarie. Nel XVI secolo, il commercio con l’Inghilterra fece crescere notevolmente la domanda del “Canary Sack”, lo storico vino dolce prodotto alle Isole Canarie con quest’uva, ma parallelamente cresceva anche la richiesta di vini provenienti da Madeira.
Il Malvasía alle Canarie si coltiva da quando il portoghese Fernando de Castro piantò le prime viti, alla fine del XV secolo. L’apice del Canary Sack, vino dolce invecchiato in botti di rovere, nei mercati britannici si raggiunse nel secolo successivo, quando solamente dall’isola di Tenerife si esportavano oltre 4 milioni e mezzo di litri. Ma i viticoltori dell’isola non riuscirono a sfruttare a pieno il momento di auge, perché dopo alcuni decenni di splendore, querelle e contenziosi tra le corone di Spagna e Inghilterra spinsero gli inglesi a preferire il commercio con i vini di Madeira.
Nella crisi che provocò il declino del Canary Sack, un episodio conferma la presenza di sabotatori nelle isole. A Garachico, la notte del 3 luglio del 1666, qualche centinaio di uomini mascherati assaltarono le cantine, distruggendo le botti e provocando una singolare quanto tragica inondazione rossa per le strade della città. Un evento rimasto impresso nella memoria dell’isola, che si conosce come “derrame del vino”, e che viene ricordato con un monumento all’entrata di Garachico. Ma non si trattava di vandali inglesi, al contrario: nonostante le restrizioni imposte dalla Corona spagnola, i canari avevano continuato ad esportare i propri vini e quindi le autorità spagnole si videro costrette a ricorrere agli uomini “mascherati” per dare un severo esempio. Come se non bastasse, la piaga di oidio nel 1852 e quella della peronospora nel 1879 decretarono la fine del Canary Sack.
Ma siccome Bacco gode sempre di ottima salute, con la rinascita della viticoltura canaria, a partire dagli anni ‘90 del secolo scorso, il vecchio Vino Malvasía vive una seconda vita. Gli eroi di questa storia sono le nuove generazioni di viticoltori delle isole, che hanno saputo valorizzare le denominazioni di origine presenti attualmente nella comunità canaria. E tutte rendono omaggio al Vino Malvasía. Così torna ad essere protagonista tra i vini, e non solo tra i tradizionali vini dolci, ma anche tra i bianchi secchi, semi-dolci e perfino qualche vino spumante. Attualmente, circa 32 bodegas producono oltre 1300 vini elaborati con questa varietà.
Secondo recenti ricerche, si conferma la presenza alle Canarie di due tipi di Malvasía, la variante “volcánica”, che cresce a Lanzarote, e che rappresenta un incrocio naturale tra Malvasía e l’uva autoctona marmajuelo; e la variante “aromática”, predominante nei vigneti di La Palma e nel nord di Tenerife, autentica discendente del Malvasía Candía che si coltivava a Creta. Il valore di questi vini si comprende a pieno se si conoscono le grandi difficoltà che riscontrano i viticoltori per produrre i loro vini. A Lanzarote, per esempio, vengono chiamati “conejeros”, perché, come i conigli, sono costantemente alla ricerca di terra vegetale, in un paesaggio dominato dalle ceneri vulcaniche. Realizzano delle buche a forma di imbuto, che a volte superano due metri di profondità, per poter piantare la vite. Successivamente, per proteggerla dalla forza dei venti di Levante, costruiscono muri semicircolari in pietra, di circa 60/70 centimetri di altezza. E a La Palma non è certo più facile. I vigneti vengono coltivati su terrazze con pendenze pronunciate, in lotti minuscoli e difficilmente accessibili. Senza dubbio, la vendemmia a La Palma è un vero atto d’eroismo.
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